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Considerazioni su Napoli Ritrovata

Abbiamo chiesto ad un giornalista professionista napoletano di lasciarci un commento sul progetto di Napoli Ritrovata e A.E. Piedimonte, che ha scritto e scrive sulle maggiori testate nazionali come La Repubblica, il Corriere della Sera e La Stampa, ci ha inviato questa recensione che abbiamo creduto opportuno condividere.

Una buona idea, un gesto coraggioso, un progetto ricco di potenzialità. È questo quello che emerge dalla lettura delle note di presentazione di Napoli Ritrovata. Certo, con ogni evidenza si è ancora ai primi passi e dunque bisognerà vedere cosa accadrà nel medio-lungo termine, ma per il momento non si può fare a meno di apprezzare l’approccio di questi giovani imprenditori che hanno scelto di misurarsi con due tematiche di peso e dimensioni bibliche: la storia di Napoli e il concetto di tradizione. Ovvero, da un lato una montagna vulcanica sulla quale è facile inerpicarsi ma è ancor più facile scivolare giù e, dall’altro, un incerto sentiero che corre sul bordo di un cratere, diviso tra magnifici altissimi orizzonti e il fiammeggiante baratro della retorica populistica e della demagogia più dozzinale. Ecco, quindi, perché occorreva una buona dose di audacia e di temerarietà per lanciarsi in una siffatta avventura, caratteristiche che ci rendono istintivamente simpatici i protagonisti di questa storia e ci fanno tornare in mente le parole dello storico greco Polibio: «Non delle bellezze esteriori si fregia una città, ma della virtù dei suoi abitanti».

Significativa, inoltre, appare anche la scelta di ispirarsi a tre uomini d’arte e cultura – Peppe Barra, Renzo Arbore e Luciano De Crescenzo – che nei loro percorsi professionali e umani hanno saputo offrire una lettura originale e moderna della “napoletanità” mostrando che si può ironizzare su stereotipi e cliché, in virtù di quell’intelligenza che è tipica di chi sa che le cose vanno fatte sempre seriamente ma non bisogna commettere l’errore di prendersi troppo sul serio.  

Del resto, come si diceva, loro hanno scelto la strada più bella, dunque la più ripida di tutte. Inoltre, qui come altrove, la tradizione – dal latino traditio, traditionis, “consegnare”, lo stesso verbo (tradere) da cui deriva la parola tradire, come pure il significato originario di consegna (Giuda “consegnò” Gesù alle guardie, cioè lo “tradì”) – è tante, troppe cose. È sicuramente la trasmissione, attraverso il tempo, di un patrimonio culturale e di un complesso di valori e modelli. Mentre in etnologia è l’insieme delle testimonianze del passato, e dunque racconti storici, miti, poesie, formule sacre trasmesse di generazione in generazione (cosa diversa dalla storia orale). Nella teologia cattolica, invece, è la trasmissione delle verità rivelate che risalgono all’insegnamento di Cristo e degli apostoli (e perciò fonte della rivelazione insieme alle Scritture). E poi c’è l’ambito filosofico (che richiede l’iniziale maiuscola: Tradizione) che indica altre cose, in primis, una forza ordinatrice che agisce lungo le generazioni trascendendo le contingenze storiche.

Dulcis in fundo, troviamo l’accezione esoterica, come ad esempio quella massonica, ovvero una trasmissione di concetti-base (storia, filosofia, valori) che può avvenire solo se ha luogo contestualmente (ma su altri piani) con una trasmissione prettamente iniziatica, sapienziale e spirituale. E in questo territorio, come si può ben immaginare, è evidente che persino il Pulcinella citato nel concept del progetto assumerebbe ben altri significati, con la sua nera, ambigua maschera e il bianco sudario che ne avvolge il corpo.

Ma forse è il caso, almeno per ora, di mettere da parte la weltanschauung dei nostri giovani imprenditori che, come è giusto che sia, devono pensare prima di ogni altra cosa a fare business. Che è anche il modo migliore possibile per poter dimostrar diverse cose, tra le quali: 1. confermare l’assunto secondo il quale con la cultura si può mangiare (a differenza di quanto disse tempo fa un ministro poco accorto e per niente lungimirante); 2. anche a Napoli si può fare squadra (vincendo sia l’ottuso individualismo sia il familismo amorale); 3. la storia del folclore può essere fonte di creatività culturale senza scadere nelle baggianate televisive e nelle cianfrusaglie da bancarella; 4. non è più il tempo dei fondamentalisti talebani dell’orgoglio partenopeo e dunque si può (si deve) ridere e scherzare liberamente su tutto.

L’auspicio finale è che anche questa Napoli Ritrovata, come tutte le buone idee e i progetti (non necessariamente originali) nati all’ombra del Vesuvio, sappia raccogliere intorno a se altre professionalità e competenze di alto profilo per poter ampliare presto il loro raggio d’azione e offrire così nuovi, intriganti spunti di interesse e di riflessione ai tanti viaggiatori sedotti dalla Sirena e agli stessi partenopei che vogliono scoprire la storia “ritrovata” della loro città. Perché come ebbe a dire la professoressa Eva Cantarella: «Per una città, ricostruire il proprio passato serve anche, e soprattutto, a rappresentare il senso di sé».

Antonio Emanuele Piedimonte.

Napoletano, giornalista professionista, saggista, esperto di comunicazione, libero docente, consulente per la televisione. Negli ultimi trent’anni ha lavorato per i principali quotidiani italiani, tra cui la Repubblica, il Corriere della Sera e la Stampa, giornale per cui scrive come corrispondente da Napoli dal 2014. Ha già pubblicato oltre una ventina di libri, tra cui I segreti della Napoli sotterranea Intra Moenia; Filtri e magie d’amore; Nella terra delle janare; Raimondo di Sangro principe di Sansevero; Milano esoterica; Lo spiritismo; La collina sacra – L’Acropoli di Neapolis; Napoli segreta; Leonardo da Vinci a Milano; Alchimia e Medicina – Viaggio alle origini delle arti sanitarie tra antichi ospedali, spezierie, curiosità e grandi personaggi; Le Epidemie nella Storia di Napoli e del Meridione. Dalla Peste nera al Covid-19 Cuzzolin Editore.

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